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Con l’aumento indiscriminato dei prezzi dell’ultimo periodo, che non ha risparmiato purtroppo neanche le biomasse, si fa sempre più strada tra i consumatori la tentazione di risparmiare ad ogni costo nell’acquisto del pellet. Rinunciando anche sulla qualità del prodotto stesso. Ma conviene davvero acquistare pellet di bassa qualità?
Il commercio del pellet, che mai come adesso vive di una concorrenza spietata, vede molte realtà produrre pellet mischiato con paglia o corteccia. Ma questo si traduce in: meno potere calorifico, più consumo della stufa, danni causati all’inserto. In particolare, un pellet di bassa qualità ha un rendimento basso che, a parità di consumo, produce meno calore. E questo genera il paradosso per cui aumentano i costi del riscaldamento.
Per non parlare della quantità enorme di cenere prodotta da pellet scadente che causa blocchi e danni alla caldaia o alla stufa che lo sta bruciando.
Esiste un mito che possiamo sfatare: il pellet chiaro non è necessariamente il migliore. Ci sono delle ragioni storiche per cui si preferisce il pellet chiaro: il primo pellet ad arrivare in Italia è stato il pellet austriaco, caratterizzato da un colore chiaro perché prodotto a partire dall’abete. In più l’abete è un legno che si accende facilmente e non crea problemi anche con le stufe più economiche.
Questo, però, non vuol dire che altri prodotti gli siano inferiori in rendimento e qualità. Come contro esempio, infatti, si può ricordare che un processo di cubettatura ad alta pressione, indice di un buon prodotto, necessita di elevate temperature che tendono a scurire il pellet in superficie. A questo si deve aggiungere che la colorazione dipende spesso dal tipo di legno impiegato. Solo per fare due esempi, il rovere sarà più scuro del faggio ed il faggio più scuro dell’abete.
Attenzione, quindi, ad acquistare il pellet con un occhio sì al portafoglio, ma con l’altro ben attento all’etichetta di qualità del prodotto.
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